Marco Signorini Photoblog






Brera 2011. lezione 1

Brera 2011. lezione 1
Vedere con vista immaginativa.

Composizione visiva del luogo: sarà qui il vedere la grande capacità e rotondità del mondo, dove si trovano tante e tante diverse genti; […] Il primo punto è vedere le persone con la vista immaginativa, meditando e contemplando le loro situazioni, e traendo da tal vista qualche profitto.” (Ignacio de Loyola, Esercizi Spirituali)

Guardate con vista immaginativa.
Uno sguardo che non vuole osservare, ma “visione interna”. Questo tentativo ha un altro intendimento: andare oltre l’immagine ottica del mondo. Un pensiero che può sembrare tradire la natura stessa della fotografia, il suo legame con la rappresentazione del visibile, con la capacità di produrre vero/somiglianza. Se il mezzo fotografico ha un inconscio tecnologico, che prescinde dal controllo e dalla volontà del fotografo, quest’ultimo, suo malgrado, deve anche prendere coscienza che la visibilità e lo sguardo sono indipendenti dalla vista e dai fenomeni ottici, sono, come dire, manifestazioni a sé. O meglio, il visibile, inteso secondo il modello ottico, è una delle pieghe possibili della visibilità. Per Sartre, ad esempio, uno sguardo “può essere dato da un fruscio di rami, da un rumore di passi seguiti da silenzio […] durante un assalto, gli uomini che strisciano nei cespugli, sentono come sguardo da evitare, non due occhi, ma un’intera fattoria che si staglia bianca contro il cielo”. In questo senso, più che gli occhi visti, è l’intensità del percepito, a determinare la distanza di uno sguardo su di noi (in fotografia, invece, si ragiona in termini ottici e spaziali, sono comunemente il punto di ripresa e l’uso delle diverse focali, le variabili della lontananza dal soggetto fotografato). Con l’immaginazione, la composizione visiva di una scena si attua attraverso un pensiero. Ancor di più, nel sogno, le immagini si mostrano a un soggetto che non vede. L’espressione del volto incantato, lo sguardo nel vuoto, è un sopravvenire di pensieri al guardare. Non è unicamente l’Uomo/Fotografo che, guardando, mette in moto la visione, essa è già presente, si trasmette sempre e comunque come potenzialità. L’altro da noi, ci vede altrettanto, per cui siamo, allo stesso tempo, vedenti e veduti, in una relazione di reversibilità dello sguardo che attesta la presenza di ogni essere e cosa al mondo. In questo intreccio di sguardi, tutto fa macchia su tutto. Anche Lee Friedlander, quando introduce la sua ombra all’interno dell’inquadratura, sembra ricordarcelo. Tutta la fotografia tesa in questa direzione, nel porci l’interrogativo della natura della visione, al di là di ogni soggettività consolatoria dell’autore o tema trattato, può ricordarcelo e lo ha fatto, nelle sue espressioni maggiori.

Fra vista immaginativa e rappresentazione, utopia e realtà, visibile e invisibile (il sentire, il sensibile, il sogno) l’Uomo/Fotografo è un passante, già da sempre atteso da sguardi preesistenti.

Questo mio testo è ripreso dalla pubblicazione “Idea di metropoli. Lavori fotografici di giovani artisti contemporanei”, ed. Silvana, 2002, catalogo dell’omonima mostra curata da Roberta Valtorta per il Museo di Fotografia Contemporanea.

Tutte le immagini sono di © Lee Friedlander.

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