Marco Signorini Photoblog






Brera 2011. lezione 2

Brera lezione 2.
La verità relativa rivelata: fotografia ed enigmistica.

Mi capita spesso di formulare discorsi immaginari che sembrano filare lisci e chiari, cosa che poi non trova corrispondenza nel tentativo di trascriverli, nel dargli una struttura letteraria, credo capiti un po’ a tutti. Questi pensieri navigano come sogni: volerli fissare, per iscritto, per immagini, non coincide con l’effetto di realtà provato, col vissuto con cui ci hanno rapito e distratti. Pensavo che in fondo, già questo è come parlare di fotografia, è parlare di qualcosa che prenderà forma. Sul rapporto sogno/realtà esiste un famoso “anagramma” (e vi sembrerà strano che parli di enigmistica, per carità, non sono un esperto).
L’anagramma è questo:

sogno / realtà = ergastolano

Per me è una combinazione perfetta, un’immagine bellissima, non sentite anche voi affinità con la fotografia?
Credo di aver capito che il gioco dell’anagramma è tanto più riuscito quanto più mantiene, fra parole e/o frasi di partenza e risultato, una relazione di attinenza e significato. Per cui l’anagramma ben fatto, pur provocando uno sconvolgimento nella disposizione delle lettere di una parola o di una frase, restituisce magicamente nuove interpretazioni, connessioni parallele, ma anche svela incredibili affinità. Questo mi sembra un esempio stupefacente:

cielo / terra = il creatore

A mio modo di vedere c’è qui tutta la potenza rivelatrice della fotografia, la sua capacità di parlarci dell’essenza delle cose al di là dell’apparenza. L’immagine fotografica è una “realtà fotografata” che nasce dalla “realtà reale”, mantiene con questa attinenza ma non identicità. Trovate quindi l’anagramma così distante  dalla natura della fotografia?
Se guardo alcune immagini a me care, mi dispensano tali particolari e delicatezze, che sembra impensabile qualcuno possa aver controllato, guardato e valutato tutto al momento della ripresa. Quell’immagine latente che prima vediamo composta nel mirino, svanisce nella chimica del materiale fotosensibile (si lo so, siamo al digitale ma il senso non cambia) per poi ricombinarsi e ricomporsi, quasi allo stesso posto, sulla carta (sul sensore). L’anagramma è avvenuto e quando è un abile enigmista a giocare, è portatore di splendide rivelazioni, oppure è il linguaggio stesso a fornirci risposte inaspettate per tanto carico di senso.

Adesso vi parlo di una fotografia di  Lee Friedlander (abile creatore di enigmi): Peter Exline, Spokane, Washington, 1970 presente nel suo libro “Portraits”. Vorrei tentare di descriverla, perché, così facendo, percorro un’altra pratica dell’enigmistica, il gioco del “rebus” dove la lettura descrittiva delle immagini, porta ad una soluzione completamente diversa da quello che rappresentano.
Nella fotografia in questione Peter è posto al centro della scena e guarda in macchina (allo stesso modo guarda noi che osserviamo l’immagine di Friedlander). Una forma angolare di luce, un cono visivo, fuoriesce lateralmente a sinistra dai suoi occhiali e va a contenere, nella sua estensione, una seconda persona con una macchina fotografica al volto. Ne risulta che Friedlander e questa persona si stanno fotografando contemporaneamente (allo stesso modo è come se anche noi osservatori di questa immagine fossimo fotografati). Dall’altro lato della scena un ragazzo, parzialmente nascosto da una colonna e una tenda, guarda anch’egli in macchina, cioè guarda Friedlander (quindi anche noi osservatori di questa fotografia  incrociamo il suo sguardo). C’è un’altra forma angolare in questa composizione, in alto centrale, è il cono formato dal tetto della casa alle spalle dei personaggi: esso è grande tale da comprenderli tutti e tre perché, pur essendo un ritratto, l’inquadratura è più ampia di una figura intera.

Ricapitolando: tre persone guardano il fotografo, fra queste una sta fotografando verso il fotografo stesso (e vorrei vedere la foto fatta a Friedlander, se mai esiste).

Questa immagine può dirsi descrittiva perché ho potuto leggerla e raccontarne gli elementi, (abbiamo ricavato le “parole” necessarie per comporre la soluzione del rebus ). Ma di cosa parla? essenzialmente è un ritratto di famiglia, ma Peter sembra “ascoltare” la luce filtrata dalla tenda veneziana, una luce essenzialmente geometrica nell’alternarsi di linee di luce e di ombra che lambisce il suo orecchio sinistro. Questa luce, “assorbita” come suono, pare attraversare la testa di Peter da sinistra a destra per poi formare il cono ottico che si genera dai suoi occhiali (questi sono del nero più intenso nella foto), adesso cono di sola luce e non più ombre (come avesse depurato la luce dalle impurezze determinate dal frapporsi della tenda con l’esterno). Questo cono di luce, immaginandone i lati prolungati, inscrive simbolicamente la persona che nell’immagine fa il gesto di fotografare.

Luce e Visione coincidono? e cos’è la vista? è soltanto una delle pieghe della visibilità, essa investe tutti i nostri sensi, in un continuo rimando di sguardi visivi, sensoriali, emotivi ed affettivi che ci attendono sempre e comunque indipendentemente dal nostro guardare. (soluzione del rebus?)

Vedo in questa immagine di Friedlander una complessità pari a “Las Meninas” di Velazquez  e “I coniugi Arnolfini”di Jean Van Eyck in pittura.
Sto esagerando? Forse noi fotografi sconfiniamo in cose che non ci competono?

Ma cos’è che permette al linguaggio fotografico di tramutare la realtà in anagramma e rebus, in gioco enigmistico? Una possibilità sta nella natura del mezzo, al suo inconscio tecnologico, alla possibilità di vedere più del veduto. Altra questione è quella del bordo: è il bordo che in una fotografia filtra l’esterno, esso diventa elemento dialogico fra il dentro e il fuori l’inquadratura.

Il bordo è il simbolo = dell’anagramma
realtà = fotografia, dove = non è uguale,
ma trasformazione pertinente, rivelatrice, appunto (la) verità relativa rivelata.

Questo è un anagramma che ho formulato io (o almeno non sono a conoscenza che qualcuno lo abbia già fatto prima di me):

enigmistica / fotografia = famigerato significato

Pare piuttosto azzeccato, non trovate? Il caso sembra aiutarmi nell’avvalorare i miei pensieri.
Vi invito a giocare ancora, con le parole
e con la fotografia.
Marco

P.S.
le foto di marcoamletico frodo

GUARDA LA FOTOGRAFIA DI FRIEDLANDER

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