Fabio Sandri vive in una bella casa nella provincia di Vicenza. La prima impressione che ne traggo dall’esterno, è quella di una costruzione abbastanza anonima. Una volta entrata, invece, mi sorprende la luminosità dell’abitazione, e la strana disposizione delle stanze. Questa dimora rappresenta bene il suo inquilino. Fabio Sandri non risponde allo stereotipo dell’artista eccentrico, ma è una persona che forse pochi indovinerebbero si dedichi ad un’attività singolare come quella dell’arte.
Trovo che il panorama sia ancora molto vitale. Si incontrano autori che producono opere piene di emozione e di significati. Certamente, la semplicità del produrre immagini, la possibilità di migliorarle attraverso la post produzione e la scaltrezza nelle modalità di presentazione rischiano a volte di supplire all’imperizia.
Raccontami qual è stato il tuo percorso di studi, a cominciare da quando lo ritieni importante rispetto a quanto fai oggi.
Com’è cambiata la tua visione dell’Italia dal punto di vista fotografico, rispetto alle immagini che hai realizzato negli anni 50’? Oggi, come e cosa fotograferesti per documentare l’Italia?
Quando eri bambino, cosa sognavi di fare ‘da grande’?
Quale è stato il suo iter di studi?
Da cosa scaturisce il suo interesse per la Fotografia? Ricorda un aneddoto particolare legato alla nascita della sua fascinazione, oppure una curiosità relativa ai suoi primi approcci con la Fotografia?
Il blog si ferma ma nasce Profondo Mosso, lo spazio su Facebook.
Una storia di quotidiana follia e straordinaria umanità, in cui si cerca di riavere vicina una persona attraverso la musica e le parole: l’arte è un gran bel modo di piangere qualcuno.
…e tutto sta in come guardi le cose, perché si potrebbe vedere una stanza con quattro tavoli, come anche scoprire un mondo. Gli occhi sono importanti perché riflettono quello che abbiamo dentro, non vedono qualcosa che non ci abbia già attraversati.
… se si trattasse di un’altra persona, forse esordirei dicendo che è difficile scrivere a proposito di un’amica, un po’ come quando guardi una fotografia, e riconosci un tuo caro: si finisce sempre per concentrarsi sull’espressione o l’abbigliamento, senza poter valutare l’assetto complessivo dell’immagine, perché la nostra attenzione è calamitata da quel che riconosciamo.