Marco Signorini Photoblog

©

Sito Web
Francesca Fabiani. Intervista di Claudia Santeroni

Cara Claudia
ecco la foto
ff

 

Come per tutti gli altri intervistati, Le chiederò qual’é stata la Sua formazione.

Mi sono laureata in Storia dell’Arte Contemporanea alla Sapienza di Roma. Ma ho sempre lavorato, sin da giovanissima; ho iniziato a diciannove anni presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, poi ho lavorato anche per altre istituzioni. Di pari passo allo studio, procedeva una sorta di “tirocinio sul campo”. Nel 2003 sono, per così dire, “inciampata” sulla fotografia, innamorandomene subito. Ho capito che il mondo dell’arte contemporanea mi metteva a disagio e che stavo meglio fra le fotografie.

Quando dice ‘inciampata’ sulla Fotografia intende dire che è accaduto qualcosa in particolare?

Si. Era nata la DARC, prima cellula di quello che poi sarebbe diventato il MAXXI, una direzione dedicata all’Arte e all’Architettura Contemporanea in seno al Ministero dei Beni Culturali. Uno dei primi progetti del settore Architettura è stato quello di indagare alcuni fattori di cambiamento del territorio italiano attraverso lo sguardo dei fotografi. Seguii quel progetto. In un mondo di architetti – e con l’esperienza “museografica” alla spalle – ho avuto un approccio da storico dell’arte rispetto a queste fotografie: le ho considerate da subito come opere, non semplicemente documenti, e quindi le ho “trattate” come tali. In questo periodo è stato importantissimo anche il rapporto diretto con gli autori che, confesso, non conoscevo ancora. Forse lo stimolo maggiore è nato da lì, dal confronto, dallo scambio. L’apertura mentale dei fotografi (di quasi tutti) mi ha emozionato. Ho lavorato per la costituzione di una collezione, e mi sono fatta carico di sviluppare questa sezione all’interno del MAXXI Architettura. Questo nucleo, nato del 2003, è cresciuto fino ad avere un settore dedicato alla Fotografia, che vanta una collezione di oltre mille stampe.

Il Suo approccio alla Fotografia è relativamente recente. Quali sono state le letture che hanno maggiormente influenzato il Suo percorso?

All’inizio ho studiato i grandi classici che ovviamente hanno un peso. Un riferimento sempre stimolante per me sono gli scritti di Roberta Valtorta. Comunque cerco di leggere la maggior parte dei testi teorici che escono, ritengo un dovere – oltre che un piacere – tenermi aggiornata e capire come si sta evolvendo lo “status” della fotografia. Devo dire però che non sono state solo le letture specifiche ad avermi aperto un mondo sulla fotografia. La fotografi mi interessa perché (o quando) intercetta verità. Quella stessa verità che posso trovare in un romanzo di McEvan.

 “Tutto lo scenario dell’arte è cambiato, non ci sono più grandi maestri ma una sensibilità e un’intelligenza diffusa, legata alla comunicazione, alla condivisione, alla partecipazione. Non si parla del resto di “morte dell’autore?”.  Questa è una dichiarazione di Roberta Valtorta. Anche Lei pensa che non ci sia più possibilità di riconoscere delle correnti nell’Arte Contemporanea?

Esistono temi comuni a mondi artistici diversi. Mi sembra più che altro che emergono delle “urgenze” condivise su alcune tematiche, piuttosto che correnti di pensiero.

In sintesi, qual è la Sua visione del panorama fotografico contemporaneo?

Trovo che il panorama sia ancora molto vitale. Si incontrano autori che producono opere piene di emozione e di significati. Certamente, la semplicità del produrre immagini, la possibilità di migliorarle attraverso la post produzione e la scaltrezza nelle modalità di presentazione rischiano a volte di supplire all’imperizia. Questa capacità di “maneggiare” l’oggetto fotografico può nascondere in modo eccellente un vuoto. Penso che ci sia sempre più un processo di ibridazione arte-fotografia ma la fotografia continua ad avere una sua specificità – di linguaggio, di contenuto – che la rende ancora necessaria come strumento  per decifrare la realtà.

Luca Panaro, durante la sua intervista per il blog, ha dichiarato che “e’ giunto il momento di elaborare il lutto di Ghirri”.

Non penso Luigi Ghirri sia stato solo un personaggio ingombrante per la generazione di fotografi a lui contemporanei, se non nel senso del grande animatore culturale, avendo organizzato progetti importanti come “Viaggio in Italia”. Per quel che riguarda i fotografi di oggi direi che – se c’è un’influenza – questa è benefica, per nulla castrante. Ghirri ha aperto delle strade. Sta all’intelligenza del singolo artista percorrerle con i propri mezzi, con la propria poetica, senza emularlo ma cogliendone l’attualità.

La critica, sostenendo il mito di Luigi Ghirri, generando il suo “culto a posteriori”, non ha quindi contribuito a creare dei cloni nei giovani fotografi?

Il problema dei “grandi maestri” è che rischiano di generare emulazione piuttosto che autonomia espressiva. Ma, ripeto, sta al singolo trarre stimoli dall’insegnamento dei grandi per costruire un proprio percorso.

Guido Costa  ha dichiarato che il panorama artistico contemporaneo è interessante e fertile, ma ostacolato dalle politiche culturali che vogliono incanalare le poetiche, le visioni e le letture verso un’arte  che sia scioccante. Condivide questa opinione?

Non saprei dire se l’arte è incanalata o no in questo momento. Certo è che, se lo fosse, perderebbe la sua ragion d’essere. Per quanto riguarda lo shock … non è detto che qualcosa di shoccante sia privo di contenuti!

Lei è una curatrice. Ha la facoltà di influenzare la proposta dell’arte contemporanea, organizzando mostre ed eventi all’interno di una delle istituzioni più importanti d’Italia. Qual è il criterio con cui decide di che mostra occuparsi?

Essendo il dipartimento di Fotografia sviluppato all’interno del MAXXI Architettura, la proposta delle mostre di Fotografia deve in qualche modo essere connessa con la programmazione del Museo di Architettura. Abbiamo essenzialmente tre criteri per decidere: valorizzare la nostra collezione con mostre che proponegono nuove chiavi di lettura delle immagini, dedicare monografiche alle grandi figure della fotografia, presentare il lavoro recente o inedito di autori contemporanei.

Un tributo a Luigi Ghirri è quindi legittimo, ma che senso ha oggi questo genere di operazione all’interno di uno spazio che si prefigge anche di promuovere la creatività contemporanea?

Sottolineo che MAXXI Fotografia fa parte di MAXXI Architettura che, per suo stesso statuto, nasce con l’intenzione di acquisire i grandi archivi anche del XX secolo e renderli fruibili. Una linea portante del settore fotografia è quella al lavoro – anche inedito – di artisti contemporanei. Comunque il lavoro di Ghirri è quanto mai attuale.

Nel panorama artistico contemporaneo, un giovane che ha l’ambizione di emergere, è indotto a sperimentare  e ricercare, o piuttosto a fossilizzasi su delle immagini facilmente spendibili?

Il rischio è che si insegna talmente bene a rendere tutto spendibile, accattivante, che la tendenza può essere anche quella! Bisognerebbe indurre alla ricerca.

Cosa vuol dire per Lei “pensare per immagini”?

Il nostro rapporto con le immagini ci dice molto del rapporto con la realtà. Osservare come percepiamo, fruiamo, usiamo, godiamo le immagini, può aiutarci a ragionare sul modo in cui entriamo in relazione con la realtà in senso più ampio, sul modo in cui la realtà trova posto accanto alle nostre immagini interiori che a loro volta nascono e si formano grazie a esperienze, illusioni, ad altre immagini appunto. E’ un discorso complesso.

Come mai le opere di Ghirri non sono state capite all’epoca in cui le produceva, ma il suo  lavoro è stato ‘recuperato’ successivamente?

E’ solo parzialmente vero. Comunque è il destino di quasi tutti i grandi: non esser capiti nel momento in cui agiscono perché troppo innovativi. Affinché  il pubblico si adegui ai nuovi codici serve una fase di sedimentazione durante la quale si sviluppa anche la capacità di decodificarli.

Un famoso e affermato fotografo italiano pochi mesi fa ha fatto una dichiarazione molto cruda: “Vendo le immagini perché ho più di 70 anni. La ridotta prospettiva di vita aumenta il valore di mercato”.

Probabilmente è vero, ma non è un tema a cui rivolgo attenzione. Avendo sempre lavorato per istituzioni “pubbliche”, mi sono potuta concedere un grandissimo lusso nella vita: non curarmi del mercato! Non ne seguo la logica. Sono regole che spesso non coincidono con il calibro e il talento di un autore.

Nella proposta dell’istituzione pubblica, c’è quindi più aderenza a quello che è la ricerca appassionata e meritevole?

… dovrebbe, e sarebbe auspicabile. Le regole del mercato dovrebbero essere esterne. Il museo è quello spazio privilegiato in cui dovrebbe trovare posto la ricerca di qualità. Che sia o meno vantaggiosa dal punto di vista economico è irrilevante. Né, secondo me, bisogna proporre solo cose che attirano il pubblico. Insomma la ricerca artistica non deve essere schiava né del mercato né dei gusti del pubblico.

Al museo arriva quello che è “già passato”? Quello che si è già affermato economicamente?

Non necessariamente. Ribadisco: il parametro economico non dovrebbe essere quello di riferimento per valutare l’ingresso di un’opera o di un’artista in un museo.

Ultimamente vengono spesso approfonditi i nessi fra Fotografia e Scultura. Come interpreta questa inclinazione a voler indagare l’immagine fino al punto da tradurre la sua bidimensionalità in qualcosa di fruibile tridimensionalmente?

E’ una delle tante derive. Non ho pregiudizi, basta che sia un arricchimento alle potenzialità specifiche di ciascun linguaggio e non un detrimento per entrambe.

Sempre più spesso vengono pensate opere site specific, molte volte all’interno di contesti storici, in cui l’arte contemporanea deve interfacciarsi con l’arte antica. Quel è la Sua interpretazione di questo fenomeno?

Va benissimo, sempre se c’è energia, in quello che si propone. Anche qui non ho una posizione a priori. Esistono interazioni bellissime, come grandi obbrobri che fanno confliggere le due realtà rendendole reciprocamente  irrispettose. C’è questa idea che tutti debbano fare tutto, usando gli spazi impropriamente: il museo fa concerti, l’auditorium le mostre … non si sa perché! Ad ogni modo, purché la fatica dell’allestire l’evento in un luogo improprio venga premiata da un valore aggiunto, ben venga. Se invece è sterile e non genera nulla di nutriente, lasciamo stare.

Il suo SOGNO per l’Arte, qual’é?

Sogno che anche in Italia la cultura venga considerata importante. Vorrei che la Fotografia avesse i suoi spazi, anche istituzionali. Inoltre, sarebbe necessaria una classe operativa di esperti nel settore:  nel nostro Paese siamo bravi a teorizzare, ma c’è poca gente pragmatica.

Claudia Santeroni

Immagine © Francesca Fabiani, Berlino

1 commento »

  1. Ho trovato l’intervista lineare e molto interessante.

    Comment di NINO ROMEO il 21 October 2013 alle 14:28

RSS feed for comments on this post. TrackBack URL

Leave a comment