Fabio Sandri vive in una bella casa nella provincia di Vicenza. La prima impressione che ne traggo dall’esterno, è quella di una costruzione abbastanza anonima. Una volta entrata, invece, mi sorprende la luminosità dell’abitazione, e la strana disposizione delle stanze. Questa dimora rappresenta bene il suo inquilino. Fabio Sandri non risponde allo stereotipo dell’artista eccentrico, ma è una persona che forse pochi indovinerebbero si dedichi ad un’attività singolare come quella dell’arte. Faccio questo parallelismo fra lui e la sua abitazione, e mi viene in mente che lo “spazio” è qualcosa che in effetti ha caratterizzato il percorso di questo artista, che non solo ha cambiato diversi studi, ma si è spesso concentrato sulle sinergie possibili fra le sue creazioni ed il luogo che le avrebbe ospitate. Raramente, a dire la verità forse mai, mi documento sugli artisti che intervisto. Lo trovo un metodo utile per non costruirmi preconcetti, sovrastrutture mentali che andrebbero ad inquinare la mia naturale percezione del loro operato creativo.
Il nome per questo EXTRACT mi è stato suggerito da Marco Signorini, e io ho guardato solo qualche immagine dell’artista, letto svogliatamente un comunicato stampa di una sua mostra. Per questo, quando iniziamo la nostra conversazione, credo di avere a che fare con un fotografo. Una delle prime cose di cui Fabio mi parla, riguarda Ottomat, un laboratorio – spazio espositivo autogestito alla cui creazione ha collaborato insieme ad altre persone. Ottomat è stato un polo culturale importante per la sua generazione. Una delle prerogative della sua fruizione, era la necessaria interazione fra i lavori esposti ed il luogo stesso, un ex capannone industriale. Sin dagli esordi della sua ricerca, il lavoro di Fabio Sandri è suggestionato dal dove viene concepito, un dove inteso proprio come elemento fisico capace non solo di interagire con l’opera, ma di farne parte. Terminata l’esperienza di Ottomat, l’artista si dedica all’insegnamento. L’indagine artistica si accompagna sempre alla quotidianità, silenziosa come lo sono le opere del suo autore. Sebbene il corpo non compaia in maniera definita nei primi cicli di lavori, la sua presenza è sempre percepibile, indovinabile, come se avesse appena abbandonato l’immagine. Accade questo in PRECIPITATI, impronte di corpi che non riconosciamo, di cui forse intuiamo il passaggio, senza però al contempo divenire astrazioni. Questi grandi fotogrammi sono dei gesti plastici, presentati in scala 1:1.
La scala 1:1, il rimando diretto alla realtà, è perpetuo in Fabio Sandri, che ci parla delle cose –e quindi di noi-, attraverso la loro mancanza, tramite le loro ombre. Tutto questo mi fa pensare ai sogni, come quando ci sveglia e si pensa di ricordarli, ed un attimo dopo rimangono solo delle sfumature, rimandi di qualcosa che eppure sappiamo d’aver visto, spazi in cui siamo stati, chissà quando. Sandri si dedica ad immagini grandi come un intero appartamento. Usa fogli di carta fotosensibile, distesi in situazioni di oscuramento su tutta la superficie delle stanze. Vengono svolti con la carta emulsionata rovesciata, a contatto con il pavimento. Questo, fa si che l’impronta che si ottiene rilevi sia il sopra, che il sotto del luogo in cui si trova: la luce prosegue e rimbalza sui piani, perché tutti i materiali rifrangono la luce, ce la restituiscono, ed è così che questa doppia impronta trasforma l’immagine in un’idea di sezione. L’immagine non è più uno schermo su cui si proietta una direzione dello sguardo e della luce, ma diviene una sezione dello spazio. E la sezione, è un concetto plastico, che ha a che fare con la tridimensionalità e, dunque, inesorabilmente, con la Scultura. Questi fotogrammi sono più delle stanze che li hanno generati, poiché ne superano i limiti, mostrandoci quello che l’occhio non ci consente: una concezione plastica che si interseca ad una possibilità solo mentale. L’immagine che si genera non ha infatti a che fare con l’occhio, ma scaturisce dalle proprietà del materiale impiegato, una carta SENSIBILE, che valica le facoltà del nostro corpo diluendosi in quelle della psiche. Questi enormi fotogrammi, semplici ed essenziali, necessitano d’esser fruiti dal vero. Raccontarli è un’impresa difficile. Anche se non si vede mai, la presenza umana si rivela in impronta. Il luogo stesso, la stanza, l’appartamento, è un luogo del corpo. Fabio Sandri non sceglie spazi astratti, ma stanze d’abitazione, il negativo del nostro vivere quotidiano, estensione contemporanea della nostra pelle. E proprio la pelle, l’epidermide, è un altro punto nevralgico della riflessione di questo artista. INCARNATO, è il nome che assegna ad una delle sue opere. La carta fotosensibile di cui è composta, prende le tonalità della pelle. Il lavoro è composto da diverse tavole, ogni giorno l’artista ne aggiunge una alla sequenza. La carta va impressionandosi col trascorrere delle ore, e per questo la sua tonalità è in continuo divenire: la scala tonale si traduce in una scala del tempo. Anche in questa circostanza, il corpo c’è senza esserci, il parallelismo fra il materiale e la presenza sussiste senza palesarsi.
Esiste però un’ultima serie di lavori, in cui il corpo fa un’apparizione evanescente. Si tratta di GARAGE, lavoro che prevede anche un’interazione col il suo pubblico. Fabio Sandri installa un garage prefabbricato all’interno dello spazio della galleria. Sceglie questa forma specifica, che è al contempo generica, da un lato familiare, dall’altro anonima. All’interno del garage vengono installati sia una videocamera, sia un proiettore: la prima riprende, il secondo proietta l’immagine sulla parete di fondo del prefabbricato, dove è steso un foglio di carta fotosensibile. Questo dispositivo è ideato affinché le persone producano una propria immagine, un autoritratto, che si genera stando fermi per almeno venti minuti. Il fruitore interagisce con l’opera attraverso un colloquio visivo intrattenuto con la propria immagine che, per realizzarsi, implica uno sforzo, una concentrazione rispetto all’azione del vedere – vedersi, sopportando la propria figura. La sensazione risulta ulteriormente straniante perché la proiezione non determina un’immagine speculare, come quella dello specchio, ma corrispondente alle fattezze reali: un “vedersi da fuori”. L’artista ha esposto, contemporaneamente al dispositivo, alcuni risultati, intitolati AUTORITRATTI IN TEMPI LUNGHI.
Quando ho parlato con Fabio, gli ho spiegato che purtroppo non avrei potuto scrivere di tutte le opere che mi aveva fatto vedere, ma che avrei dovuto necessariamente fare una selezione. Ho scelto quelle che mi sono piaciute di più, sperando di suscitare curiosità nei confronti di questo autore, la cui scoperta, personalmente, ho considerato sorprendente.
Claudia Santeroni
Immagini © Fabio Sandri