Il tuo progetto “Italians” è un percorso alla ricerca dell’identità italiana. Oltre la fotografia, che immagine ti sei fatta di questa identità?
Vivo in Italia ormai da 18 anni, e penso di aver avuto il modo abbastanza approfondito di conoscere questa identità. All’inizio pensavo che gli italiani fossero completamente diversi da noi giapponesi, soprattutto caratterialmente, invece, nel corso degli anni, i due popoli si sono svelati molto simili da certi punti di vista. Ho ”lasciato” il mio paese perchè la società nipponica è fortemente conformista e non mi ero mai trovata a mio agio. In società nelle quali rispettare gli opinioni altrui, è una virtù primaria, la gente storce il naso davanti ad una forte personalità, perchè sembra poco armoniosa e dunque temibile. Io, tendenzialmente dico ciò che penso, quindi, appena arrivata in Italia, mi sentivo finalmente libera di esprimere ciò che sentivo dentro di me. Pensavo che l’italiano estroverso mi avrebbe apprezzato per come sono fatta. Poi, piano piano, anche imparando meglio la lingua, mi sono accorta che neanche in Italia è esattamente così. Le persone menano il can per l’aia, soprattutto nell’ambito lavorativo. Preferiscono non risponderti alle mail o alle telefontate, invece di dirti esplicitamente ”questo lavoro non mi piace”. Bisogna percepire le sfumature delle parole, quando la gente è paraverbale, altrimenti non capirai mai veramente dove stiamo andando. In giappone ogni individuo è veramente particolare, ma raggruppando ognuno insieme, tutto diventa monotono. In Italia succede esattamente la stessa cosa. Perchè sono ancora qui? Perchè, nonostante ciò, in Italia ho trovato degli amici unici e preziosi che mi accettano e mi amano soprattutto così come sono, che in Giappone non ero mai riuscita a trovare.
Lo sguardo dei tuoi soggetti sembra non guardare un punto nello spazio ma riflettere uno stato d’animo. Per te lo sguardo è più nel senso direzionale o espressivo?
Questa è un’osservazione azzeccata e precisa. Per me è tutti e due. Lo sguardo deve assolutamente essere direzionale e allo stesso tempo espressivo.
Quanto è importante nella tua ricerca artistica il tema che affronti, che rapporto c’è fra forma e contenuto?
L’estetica, cioè la cifra artistica (anche se odio usare questo termine) è fondamentale se vogliamo essere rinocoscibili e diventare ”autori”. Nel mondo di oggi, in cui le immagini sono superflue, bisogna acquisire uno stile, solamente il tuo. Ci sono mille modi di raccontare la vita, io scelgo di raccontarla a colori, con la luce del sole. Sono convinta però che è anche rischioso. La bellezza può mascherare ciò che le fotografie devono raccontare realmente.
Quanto incide la tua cultura di provenienza rispetto alla formazione artistica italiana?
In Giappone mi sono laureata in letteratura e sognavo di diventare una scrittrice. Scrivere romanzi mi dava la sicurezza e scrivendo, speravo di trovare il mio posto nel mondo. Quindi per me, la cultura giapponese era soprattutto la letteratura. Poi ho studiato fotografia a Firenze, dove ho vissuto per 11 anni circa. È lì che ho preso una macchina fotografica al posto di una penna, come per scrivere un diario, per conservare la memoria. A Firenze ho visitato spesso i musei per ammirare le opere rinascimentali che amo molto. Per me la fotografia è una forma d’espressione inscindibile dalla pittura, e posso dire che sono stata allevata con quell’essenza fin da giovane. Se avessi avuto più l’influenza dalla nostra pittura giapponese, per esempio dalle famose incisioni ”Ukiyo-e”, probabilmente sarei diventata una graphic designer.
A cosa stai lavorando attualmente?
Ho un paio di idee ancora in embrione. Sicuramente è sull’identità che lavorerò. Magari su quella giapponese. Dopo più di un anno dal disastro terremoto/tsunami devo capire come è cambiato il paese e come sarà la nostra identità nipponica. Ma sarà difficile per me.
Tre keywords per definire l’arte oggi.
Sopravvalutato e sottovalutato.
Pragmatico.
Sintetico.
Michi Suzuki nasce a Tokyo nel 1971. Dopo essersi laureata in letteratura nordamericana in Giappone, si trasferisce a Firenze nel 1994 dove frequenta il corso triennale di fotografia presso La Fondazione Studio Marangoni. I suoi lavori sono esposti in Italia, Giappone, Finlandia e Francia. Ha fatto parte dell’agenzia Grazia Neri dal 2006 al 2010. Vive e lavora a Milano.
Attualmente il suo lavoro “Italians” è esposto a Reggio Emilia per Fotografia Europea 2012.
http://www.suzukimichi.com/
Per le immagini © Michi Suzuki